Il dio del pallone

Diego Armando Maradona. Il fuoriclasse, l'imbroglione, l'extraterrestre, il sopravvalutato. L'inizio e la fine del gioco del calcio. L'alfa e l'omega della letteratura sportiva. Eroe contraddittorio, in grado di vincere un campionato del mondo da solo – quel Mexico '86 che farà di lui il dio del calcio – ma pure di cedere alla tentazione della cocaina e lasciarsi andare a una lenta e inesorabile discesa verso il proprio abisso. Ed è proprio questa caduta che si vuole raccontare: quella cominciata nel 1994, durante un altro campionato del mondo, USA '94, l'ultimo atto per il Maradona icona del popolo argentino. Diego esce dal Foxboro Stadium di Boston mano nella mano con un'infermiera, un'istantanea quasi tenera se non fosse per l'epilogo: il fuoriclasse viene trovato positivo all'efedrina. La sua carriera calcistica finisce quel giorno. Ma per giungere a questo punto della storia è necessario cominciare il racconto dieci anni prima: il 5 luglio 1984. Un reportage narrativo nel quale si alternano le voci di: scrittori, giornalisti e testimonial del mondo della letteratura che hanno in comune la passione per Diego. Passione e non devozione. C'è, infatti, chi detesta Maradona e non ne fa mistero e chi, invece, ogni anno trascorre il 30 ottobre davanti a un murales dei quartieri spagnoli per omaggiare non un calciatore, ma la prova ontologica dell'esistenza di un dio.